Mimma e Alda, eroine civili e dimenticate di Ancona

di Marco Severini

Il 13 settembre 1943 Ancona venne occupata dai tedeschi e sulla popolazione calò un clima di incertezza e di paura: pochi militari tedeschi, accompagnati da esponenti fascisti, presero possesso della città; gli ufficiali trattenevano nelle caserme Villarey e Cialdini i giovani militari di leva fino a nuovo ordine; il comandante di occupazione Streitenfeld invitava la cittadinanza a mantenere la calma e a seguire le direttive impartite così da evitare «spiacevoli repressioni». L’occupazione tedesca partì dalle caserme per proseguire con il cantiere navale e la ferrovia. Tra gli ordini diramati dai comandi si prescrisse ai privati, sotto pena di fucilazione, di consegnare le armi e ai soldati, nel frattempo dispersi, di presentarsi.

Qualche milite fuggì, qualche comandante si sottrasse alla cattura, passando dall’altra parte: il colonnello Gino Carradori, comandante del presidio di Ancona, si rifiutò, il 15 settembre, di consegnare le armi alla popolazione, ma riapparve più avanti a Osimo, alla testa di una formazione partigiana. Mentre s’insediava un nuovo governo – il comandante tedesco Horst Niemack nominava commissario straordinario della provincia Franco Scassellati, poi sostituito da Aldo Lusignoli – si consumava, nell’arco di una settimana, una vicenda incredibile che sarebbe stato a lungo dimenticata. I tedeschi fecero prigionieri 12.000 soldati italiani tra reclute del 93° Reggimento della 18a Divisione Messina, dell’Aeronautica e della Marina, ponendo subito questi di fronte all’alternativa tra entrare nelle loro file, con la stessa paga e trattamento del milite tedesco, e l’essere inviati nei campi di prigionia in Germania.

Di fatto, la maggioranza dei nostri soldati rimase senza possibilità di scampo. Tutta quella mobilitazione di truppe non passò, però, inosservata, innanzitutto alle sarte della caserma Villarey, del rione cosiddetto Pantano. Le sarte quotidianamente cucivano, visto che le divise dei soldati avevano sempre bisogno di qualche rammendo, ma osservavano pure. Erano come ogni italiano dell’epoca stanche della guerra e, soprattutto, si sentivano deluse da quella fine annunciata, ma che poi non si era rivelata tale, rappresentata dalla caduta del regime, il 25 luglio precedente. Irma Baldoni Di Cola, detta Mimma, e Alda Renzi Lausdei decisero di passare all’azione. La prima era nata a Civitavecchia il 14 gennaio 1893 da famiglia modesta, aveva appreso il mestiere di sarta e si era poi trasferita ad Ancona, andando ad abitare in una modesta dimora nei pressi della caserma Villarey.

La seconda era nata ad Ancona il 15 novembre 1890: rimasta vedova ad appena 25 anni – il marito Cesare, lavorante al Caffè Garelli, era morto ventisettenne di spagnola – e con quattro figlie da crescere, prese a lavorare come sarta presso Villarey dove si recava in vestaglia e ciabatte. Dalla mente di Alda scaturì un piano a dir poco ardito: far evadere quanti più soldati possibile, travestendoli nelle maniere più svariate grazie al loro mestiere. Dato che il suo impiego le consentiva di entrare senza problemi in caserma e in considerazione del fatto che conosceva piccoli passaggi e porte di comunicazione con l’esterno, Alda elaborò il piano di fuga insieme a Mimma e alle altre sarte del posto. Tutte si misero a lavorare alacremente, senza sosta né orari, per salvare quei ragazzi che sentivano loro. I bambini del Pantano sono testimoni oculari di questo atto eroico.

Tagliando, cucendo, accorciando, le sarte travestirono i militari imprigionati nelle maniere più disparate: chi da donna o da suora, da prete, da frate o da lavoratore. A qualcun altro individuarono la via di una comoda fuga: chi si calò dalle finestre con corde e lenzuola; altri si mischiarono con i malati del limitrofo ospedale per far perdere le tracce. Le sarte didero vita a un’operazione di salvataggio collettiva, che arrivò a coinvolgere gli stessi bambini; ma, ad un certo punto, i tedeschi iniziarono a sospettare e innescarono la collaudata rete di delatori. Con notevole coraggio, Irma, Alda e le altre donne del posto scortarono fuori da Villarey, sotto gli occhi degli occupanti, soldati italiani travestiti in ogni modo, indossanti camicie, scarpe con i tacchi, tuniche da prete e tute da lavoro; rischiarono la vita, ma avevano deciso senza alcuna oscillazione da che parte stare.

A un certo punto i nazifascisti, scoperta la manovra, bloccarono ogni via d’accesso alla zona. Il 20 settembre i tedeschi caricarono i soldati sui camion, portarono i prigionieri al porto, alla stazione o allo scalo della fiera della pesca: le destinazioni erano i terribili campi di lavoro del Reich, lo status era quello di Imi (Internati militari italiani); molti degli 8.000 partenti non sarebbero più tornati. Grazie al piano di Alda, Mimma e di tante donne coraggiose che li hanno accolti, ospitati e soccorsi, grazie insomma a un clamoroso atto di fuga, intrepido quanto pericoloso, un terzo dei carcerati è riuscito a salvarsi, all’incirca 4.000 persone. Un atto eroico passato per 75 anni sotto traccia. Un silenzio rotto solo da alcuni versi vernacolari e da una pubblicazione recente che hanno cercato di squarciare un muro di silenzio e di oblio. Le due eroine hanno conosciuto un destino opposto: Alda è morta, con marito e figli, nella sua città sotto i bombardamenti alleati, l’11 novembre 1943; Mimma è sopravvissuta alle disgrazie della guerra ed è scomparsa nel capoluogo marchigiano il 16 luglio 1977.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
W. Caimmi, Al tempo della guerra, Remel, Ancona 1996, p. 166; F.M. Serpilli, Due storie, due personaggi di Ancona: Alda Renzi Lausdei (la sarta di Villarey), Vittorio Sulpizi (e il teatro di Ancona), Consiglio regionale delle Marche-Quaderni del Consiglio regionale delle Marche n. 75, Ancona 2006; M. Severini, Il circolo di Anna. Donne che precorrono i tempi, Zefiro, Ferno 2019, pp. 101-107.